Alcune fonti storiche

1. I fatti miracolosi del 1467 e il racconto del Coriolano

La fonte più antica e dettagliata sull’intervento di ricostruzione della chiesa degli Agostiniani, promosso dalla beata Petruccia, è l’umanista agostiniano e Priore generale dell’Ordine Ambrogio Massari da Cori che dedica ampio spazio al racconto del miracolo del 1467 nel suo Defensorium Ordinis Fratrum Heremitarum sancti Augustini, pubblicato a Roma nel 1481.

Dalla narrazione del Coriolano – così è noto Massari nella nomenclatura umanistica – sappiamo che Petruccia, ispirata dal Signore, vendette i tutti i suoi beni per fabbricare dalle fondamenta la chiesa e il convento di Genazzano, ma poiché non riusciva a terminare i lavori intrapresi era divenuta oggetto di derisione da parte dei suoi concittadini: «et cum eius facultates ad ecclesiam complendam non sufficerent, uenit in derisum toti populo».

Petruccia non si perse d’animo e, affidandosi unicamente a Dio, affermava con sicurezza che prima della morte avrebbe senz’altro visto il completamento dei lavori della chiesa per l’intervento miracoloso della Madonna e di sant’Agostino. Così accadde, assicura Coriolano. Prima della morte, come aveva predetto a motivo dei suoi doni profetici, Petruccia ebbe la consolazione di assistere all’intervento miracoloso tanto atteso: «Sed mirabilis prophetiae adimpletio: […] quaedam ymago beatae virginis in pariete dictae ecclesiae miraculose apparuit». Si compì la profezia e apparve, miracolosamente, un’immagine di Maria su una parete della chiesa in costruzione. Fu tanto lo stupore e la commozione dei concittadini di Petruccia e delle popolazioni vicine che Genazzano divenne in breve tempo meta di straordinari flussi di pellegrini, anche da Roma e dall’Alto Lazio, e con le loro elemosine offerte dalla generosità dei pellegrini fu possibile completare i lavori della chiesa e la ricostruzione dell’antico convento.

La terziaria morì in concetto di santità, fu sepolta nella cappella della Madonna e, dopo una ricognizione nel corso del XIX secolo, i suoi resti mortali oggi riposano in una nicchia della controfacciata della basilica di Genazzano, sotto il grande affresco “storico” che riproduce la tradizione del volo miracoloso dell’immagine mariana dall’Albania a Genazzano nel quale è rappresentata la Petruccia in ginocchio, in atteggiamento estatico e grato per l’intervento miracoloso che portava a compimento i suoi desideri e l’opera intrapresa.

Nel 1468, il priore generale dell’ordine, Guglielmo Becchi (1460-1470), nominò suo vicario speciale per il convento di Santa Maria di Genazzano il già ricordato Ambrogio da Cori che, oltre ad essere stato il narratore dei fatti miracolosi, fu senz’altro anche l’autore e l’esecutore del progetto di valorizzazione del culto mariano di Genazzano e delle opere religiose ad esso collegate. L’intervento di Ambrogio – in stretta collaborazione con il potente cardinale camerlengo Guillaume d’Estouteville (ca. 1412-1483), protettore degli agostiniani – fu determinante per la promozione del santuario.

Il Massari, fine teologo e umanista, è stato tra i personaggi più influenti nella Roma di Sisto IV (1471-1484) e la sua biografia intercetta molti dei più importanti fatti storici, culturali e religiosi che segnarono la vita di Roma del secondo Quattrocento: dalla trasformazione urbanistica della città medievale al rinnovamento religioso delle osservanze mendicanti, dalle strategie politico-militari nell’Italia del XV secolo fino all’ampliamento politico-territoriale dello stato della Chiesa. Egli, infatti, seppe adoperare l’ascendente sulla Curia e la sua cultura, soprattutto nei momenti più favorevoli del pontificato sistino, a beneficio del suo ordine e dei conventi che da sempre aveva avuto più a cuore, dalla città natale a Genazzano, ai grandi centri religiosi agostiniani dell’Urbe, S. Agostino in Campo Marzio e S. Maria del Popolo (Cfr. Massari, Ambrogio (da Cori), Dizionario Biografico degli Italiani, v. 78 (2008), pp. 712-716).

 

2. Altre fonti antiche sui fatti del 1467

In relazione con i fatti del 1467, anche papa Paolo II Barbo (1464-1471) inviò a Genazzano due presuli, Gaucerio di Forcalquier, vescovo di Gap in Francia, e Nicola de Crucibus, vescovo di Lesina, per indagare ed essere ragguagliato sui fatti miracolosi. Anche nel caso della Madonna della Quercia di Viterbo il papa era intervenuto a regolare la devozione e la gestione del luogo di culto.

Prima che gli agostiniani imponessero all’immagine e alla devozione il titolo mariano più antico di Mater Boni Consilii, la Madonna fu venerata per qualche tempo, per la sua bellezza e certamente per le grazie connesse ai suoi devoti, come Madonna del Paradiso. In connessione con la scoperta, infatti, si verificarono una serie di fatti miracolosi che spiegano il tenore di espressioni di entusiasmo che circondano l’immagine. Le grazie ottenute per intercessione di Maria sono testimoniate dal Codex miraculorum del santuario, conosciuto anche come Codex bombacinus, una raccolta di notizie relative ai 161 miracoli avvenuti tra il 27 Aprile e il 14 Agosto del 1467. Il codice, testimone del desiderio degli Agostiniani di dare fondamento e continuità al culto mariano genazzanese, è andato disperso durante la soppressione dei conventi in età napoleonica (1810-1812 ca.), ma il suo contenuto è stato parzialmente trascritto nel ricordato Ristretto di padre de Orgio.

Sull’evento del 1467, oltre alle testimonianze riconducibili a fonti agostiniane, non mancano altri riferimenti che ebbe il merito di raccogliere e analizzare l’agostiniano Agostino Felice Addeo (1876-1957) in Apparitionis imaginis beatae Maria Virginis a Bono Consilio documenta. Il lavoro di Addeo andrebbe senz’altro continuato attraverso un più sistematico scavo archivistico della documentazione coeva.

Tra le fonti non agostiniane desidero ricordare almeno il Diarium Nepesinum, degli anni 1459-1468, che ci conserva una preziosa notizia sui pellegrinaggi a Genazzano dall’Alto Lazio del 1467: «Mense julii – die octava. Iverunt ad sanctam Mariam de Genazano multi de Nepe, maxime Blaxium Ciani et Plasedis eius filia, et Angelutio Pancopti et Anestasiam eius matregna et Iulianus Antonii Mancini»; e ancora: «Mense septembris – die XVI. Gì la processione a Genazzano, et portaro uno calice de arcento et XXXXVI libre de cera».

Si tratta di documenti di prima mano e di notevole rilevanza, essi infatti si collocano in una fase che precede anche la narrazione di Coriolano e ci restituiscono qualche frammento dei fatti accaduti a Genazzano nell’aprile del 1467.

 

3. Gli sviluppi del culto dopo il XVI secolo

Il racconto di Coriolano fu sufficiente a sostenere il culto mariano genazzanese per circa centocinquant’anni; ma agli inizi del Seicento si era appannata tanto la notorietà del santuario quanto il lustro dei potenti protettori colonnesi che necessitavano pertanto, l’uno e gli altri, di nuovo smalto e di una nuova più adatta narrazione. Non è peregrino accostare l’uso ideologico e celebrativo della vittoria di Lepanto (1571) a tale nuova narrazione.

Nel racconto di Ambrogio, infatti, e nelle altre testimonianze coeve o di poco posteriori ai fatti del 1467, non si fa mai cenno alla miracolosa traslazione angelica da Scutari. Sconosciuta alla storiografia agostiniana e alle altre fonti fino al XVII secolo, la traslazione miracoloso dall’Albania potrebbe essere datata alla fine della seconda metà del secolo XVI, forse in relazione al pericolo dell’espansione turca nel Mediterraneo e al contestuale ingrossamento dei flussi migratorî verso l’Italia dalle coste greche, albanesi e dalmate.

Non si deve inoltre dimenticare che Genazzano, feudo della famiglia Colonna, era particolarmente sensibile al tema dell’avanzata turca, soprattutto dopo Lepanto dove si era distinto il capitano colonnese della flotta pontificia Marcantonio II (1535-1585) e molti suoi uomini di Genazzano che, tornati in patria, donarono alla Madonna del Buon Consiglio i trofei strappati agli infedeli. L’impresa di Lepanto è celebrata in tutti i luoghi più significativi del potere colonnese, dal palazzo romano dei SS. Apostoli alle residenze extraurbane, e non poteva essere assente a Genazzano, fulcro del patrimonio storico-ideologico della famiglia, dove l’episodio della vittoria navale è stato affrescato nella cappellina privata del palazzo.

All’indomani dei fatti di Lepanto, venne eretta a Genazzano la confraternita dedicata alla Madonna della vittoria, la Madonna del Rosario, presso la chiesa di S. Giovanni, fondata il 27 giugno 1575 dal domenicano fra Girolamo Mercuri di Roma, con riferimenti precisi alla vittoria navale della flotta cristiana persino nei canti della devozione popolare ancora in uso.

Allo stato attuale delle indagini storiche, la prima testimonianza certa sulla traslazione miracolosa data al pontificato di Urbano VIII (1623-1644). Il pontefice visitò il santuario di Genazzano il 21 ottobre 1631, dopo essere stato a Palestrina, feudo colonnese acquistato dai Barberini nel 1629. In occasione della visita papale a Genazzano, Giovanni Colonna, uno dei numerosi figli di Filippo I Colonna e Lucrezia Tomacelli, pronunciò una celebre orazione latina in cui per la prima volta ricorre un riferimento esplicito alla tradizione della traslazione miracolosa che egli mette in relazione con l’analogo prodigio della traslazione della Santa Casa di Loreto:

Coelitum hominumque Regina ac Dei mater coli heic se voluit, non mortalium manibus huc advecta, non hominum pennicillo picta; sed repente in Templo conspecta, ac Coelesti, ut creditur, artificio fabrefacta, ne scilicet videretur suum Latio deesse Lauretum.

La Regina del Cielo e degli uomini, Madre di Dio – non portata da mano d’uomo né da mano d’uomo dipinta! Ma in modo mirabile e istantaneo comparsa in questo tempio e dipinta, come si crede, per intervento del Cielo – volle essere qui venerata affinché al Lazio non mancasse la sua Loreto!

Affinché il Lazio non fosse privo del suo Loreto, afferma Giovanni, la Madonna avrebbe eletto il tempio di Genazzano per esservi venerata in modo speciale nell’immagine non condotta qui da mani d’uomo, quindi traslata miracolosamente, e non dipinta da mani d’uomo, quindi un’acheropita.

Anche se la tradizione della miracolosa traslazione andava facendosi strada durante tutto il XVII secolo, ancora in una visita apostolica del 1660 si afferma che l’immagine della Madonna di Genazzano era stata traslata dagli angeli genericamente «a Provincis Iliris», cioè dall’Illirico. Per passare dall’Illirico, nome arcaizzante e geograficamente sfuggente, o più in generale dalla “Schiavonia” all’Albania, e più precisamente alla città di Scutari, era necessario compiere un ulteriore passo nello sviluppo delle tradizioni sulla Madonna di Genazzano e si sarebbero incaricati di compiere tale passo gli agostiniani Pietro Paolo Feroci e Angelo Maria de Orgio.

Fu De Orgio a dare una versione definitiva del miracolo della traslazione da Scutari e a pubblicizzarla, soprattutto attraverso un’accurata opera di raccolta di documenti e testimonianze sulla traslazione miracoloso negli ambienti italoalbanesi in Italia, ma anche attraverso i racconti dei cattolici superstiti in partibus infidelium, tra le altre quelle del nobile scutarino Niccolò Cambsi, dei vescovi di Scutari Paolo Cambsi (1742-1771) – che visitò il santuario di Genazzano con i sacerdoti Antonio Borsi e Giovanni Battista Carbasci – e Angelo Rodovani (n. 1734; ep. 1771-1787; Ancona †1790), del vicario della stessa diocesi Antonio Logorezza, dello scutarino Giovan Battista Medini, di Giovan Battista Nicolovich Kazazi, minimo, arcivescovo di Skopje e figura di grande interesse per i suoi studi sulla liturgia in lingua albanese, che fu pellegrino a Genazzano insieme a p. Gregorio Filippino da Palermo prima del 1745, e di altri ecclesiastici in occasione di loro viaggi a Roma ovvero attraverso gli emissari della Congregazione de Propaganda Fide.

L’erudito italoalbanese Pietro Pompilio Rodotà dei Coronei (1707-1770) –  scriptor greco della Biblioteca Vaticana (1736) e principale costruttore dell’identità degli arbëreshë insieme a Paolo Maria Parrino – nel 1752 pubblicò, nella stamperia romana di S. Michele, per i tipi di Ottavio Puccinelli, le Riflessioni morali sopra la venuta della miracolosa immagine della beata Vergine del Buon Consiglio dall’Albania alla Terra di Genazzano, nella Campagna di Roma, proposte per esercizio de’ suoi divoti; in questo testo la tradizione scutarina risulta ormai definitivamente consacrata, in relazione alla ideologia identitaria italoalbanese, aprendo una stagione di inesausta ricerca di collegamenti tra Genazzano e Scutari che continuerà, inesausta e ripetitiva, per tutto il XIX secolo come mostra anche l’articolo di Pardi, pubblicato in questi Atti.

È in questa fase storica, evidentemente, che si diffonde il culto mariano genazzanese tra gli italoalbanesi presenti nella Tuscia viterbese dal XVIII secolo e, soprattutto, nell’Italia meridionale. Un ruolo decisivo nella diffusione del culto, oltre agli Agostiniani, lo ebbe anche il canonico Bacci di S. Marco di Roma.

Il 2 luglio 1753 Benedetto XIV, come ho già ricordato, istituì la Pia unione della Madonna del Buon Consiglio, di cui De Orgio fu direttore, alla quale si iscrisse per primo lo stesso pontefice e numerosissime personalità della curia romana e della società del tempo, seno evidente della politica agostiniana presso i vertici ecclesiali, ma anche del lavoro non meno importanti dei circoli italoalbanesi romani.

Alla seconda metà del Settecento data anche la richiesta alla Congregazione dei Riti dell’ufficio proprio in memoriam prodigiosae Apparitionis; il Memoriale cum summario del processo, ponente il cardinal Giovanni Archinto (1736-1799), fu presentato nel 1779, ma ricevette un dilata e la richiesta di approfondimenti che giunsero nello stesso anno, insieme alla stampa di un secondo Sommario con la richiesta dell’ufficio proprio, questa volta in festo Apparitionis Sac(rae) immaginis. In questo contesto, Callisto e Gaetano Marini furono incaricati dal Promotore della Fede di sottoporre ad un’attenta analisi il codice quattrocentesco dei miracoli di cui il De Orgio pubblicò il ristretto. Il decreto di approvazione giunse il 18 dicembre dello stesso anno 1779.

Ormai definitivamente consacrato da oltre due secoli di tradizione, il racconto della miracolosa trasmigrazione dell’immagine da Scutari a Genazzano fu definitivamente suggellato, nella seconda metà dell’Ottocento, quando la Madonna del Buon Consiglio fu eletta patrona dell’Albania cattolica e, in seguito, dai numerosi pellegrinaggi degli italoalbanesi o degli albanesi dalla madre patria a Genazzano, come il famosissimo pellegrinaggio accompagnato da sei vescovi nel giugno del 1932. Dopo la visita di san Giovanni Paolo II (1978-2005) a Genazzano il 22 aprile 1993, quando prelevò una copia della Madonna del Buon Consiglio, per portarla il 25 aprile successivo a Scutari e dopo la visita a Genazzano dell’albanese santa Maria Teresa di Calcutta, la grande apostola della carità del secolo scorso, i pellegrinaggi tradizionali sono ripresi e, dopo la caduta del regime comunista, si sono intensificati: ogni anno, alla fine del mese di maggio, il tradizionale legame tra Scutari e Genazzano viene rinnovato con un pellegrinaggio nazionale albanese guidato dall’arcivescovo di Scutari e dai membri della Conferenza episcopale albanese.